Aneddoti e Curiosità

LA BANDIERA

I colori della bandiera portoghese sono il verde per un terzo e il rosso per due terzi. Il verde rappresenta la speranza, il rosso simboleggia il coraggio e il sangue dei portoghesi caduti in combattimento.
Al centro della bandiera si colloca una sfera armillare, simbolo del mondo scoperto dai navigatori portoghesi nel XV e XVI secolo e dei popoli con i quali instaurarono relazioni culturali e commerciali.
Sulla sfera posa uno scudo con sette castelli, simbolo delle fortificazioni conquistate da D. Afonso Henriques, e cinque scudetti che rappresentano i cinque re mori sconfitti da D. Afonso Henriques nella battaglia di Ourique (1139). I cinque puntini all’interno degli scudetti rappresentano le cinque piaghe di Cristo. Si narra, infatti, che durante la battaglia di Ourique, Gesù crocifisso apparve al re D. Afonso Henriques e disse: «Con questo segno vincerai!».
Contando i puntini e moltiplicando per due quelli dello scudetto centrale, si giunge alla somma di 30, simbolo dei 30 denari che ebbe Giuda per aver tradito Gesù.
La simbologia quindi ricorda i momenti fondamentali e gloriosi della storia portoghese.


SANT’ANTONIO

Sant’Antonio, proprio lui, il Patrono di Padova, il Santo dei ritrovamenti impossibili e dei mille miracoli, nacque in Portogallo, a Lisbona, in una casa nobiliare non lontano dalla cattedrale, figlio di Martino de’ Buglioni e di donna Maria Taveira, in una data che la tradizione colloca al 15 agosto 1195, col nome di battesimo di Fernando.

Sin da piccolo il giovane Fernando de Bulhão mostrò inclinazione per l’ideale evangelico, che lo spinse ad entrare nel monastero agostiniano di São Vicente fuori le mura. Deciso a troncare qualunque rapporto con la vita secolare, a 17 anni si trasferì a Santa Cruz di Coimbra, dove per otto anni, dal 1212 al 1220, si dedicò completamente allo studio delle scienze umane e teologiche, maturando il definitivo distacco dalle cose del mondo per accedere al sacerdozio all’età di 25 anni, disattendendo la norma ecclesiastica che fissava ad un minimo di 30 anni l’età per averne accesso. Spinto da una forte vocazione missionaria, chiese ed ottenne di lasciare i Canonici regolari di sant’Agostino per abbracciare l’ideale francescano.

Nel settembre 1220, Fernando lasciò i bianchi panni di agostiniano per rivestire la grezza tunica francescana con la corda ai fianchi. Allo stesso tempo, abbandonò anche il vecchio nome di battesimo per assumere quello di Antonio, l’eremita egiziano titolare del romitorio di Santo Antão dos Olivais presso il quale vivevano i francescani.

Dopo un breve soggiorno in Marocco, interrotto da una non meglio specificata malattia tropicale che lo costrinse ad abbandonare l’Africa, Antonio, fisicamente provato, sbarcò in Sicilia, portato dai venti che ivi sospinsero la nave sulla quale era imbarcato.

Terminata la convalescenza, l’allora giovane e sconosciuto fraticello straniero lasciò la Sicilia, per partecipare al capitolo generale – detto delle Stuoie – celebrato in Assisi nel giugno del 1221, dove fu notato da fra’ Graziano da Bagnacavallo, ministro provinciale della Romagna, che lo pregò di seguirlo in quella terra, dove poté approfondire l’esperienza missionaria bruscamente interrotta, rinvigorire l’impegno ascetico e penitenziale, affinarsi nella contemplazione.

La missione di predicatore e di dottore della chiesa ebbe inizio in Romagna quasi per caso, quando a Forlì, durante un’ordinazione sacerdotale, non sentendosi alcuno preparato per una breve orazione celebrativa, Antonio, a richiesta dei confratelli, sia pur controvoglia, rivelò tutta la profonda cultura biblica e l’immensa spiritualità in suo possesso.

Operò in Romagna ed in Francia, dove nella chiesa di Pierre-du-Queyroix avvenne la famosa bilocazione attestata da fra’ Giovanni Rigaldi.

A Padova, città tanto amata ed ancora oggi inscindibilmente abbinata al suo nome, Antonio soggiornò solo per due brevi periodi, fra il 1229 e il 1230, il primo, fra il 1230 e il 1231 il secondo.

Nella tarda primavera del 1231 Antonio, che aveva scelto di vivere nella quiete fuori l’abitato, fu colto da malore; trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire, giunto alla periferia della città spirò mormorando: «Vedo il mio Signore». Era il venerdì 13 giugno. Aveva 36 anni.

Assurse alla gloria degli altari, per i numerosi prodigi mostrati, il 30 maggio 1232, appena 11 mesi dopo la morte, sotto il pontificato di papa Gregorio IX.

Nel 1946 fu proclamato “dottore della chiesa universale”, col titolo di Doctor evangelicus.


«FARE IL PORTOGHESE»

Questa espressione, molto usata in Italia, sembra disdicevole per i portoghesi, ma una volta note le ragioni storiche si rivela priva di qualsiasi connotazione dispregiativa.
La storia risale al 1514 quando re D. Manuel decise di inviare una fantastica ambasciata a Roma con doni favolosi. Essa era composta da centoquaranta persone in gran parata, con abbigliamenti orientali e africani di straordinaria ricchezza e quarantatrè animali al seguito, tra i quali un elefante.
L’ambasciata suscitò molto interesse e una grande curiosità lasciando stupiti tutti. In seguito è stata ricordata come «l’ambasciata dell’elefante». Papa Leone X, cui erano diretti i doni, fece molte concessioni ai portoghesi e dette anche la famosa autorizzazione, a quanti dichiaravano di essere di nazionalità portoghese, di entrare in qualsiasi teatro gratis, e… ci fu chi ne approfittò «facendo il portoghese».


I “Tripeiros”

Gli abitanti di Porto sono scherzosamente chiamati “tripeiros” perché durante una delle numerose invasioni dei Mori riuscirono a sconfiggerli con uno stratagemma: fecero credere di avere tante provviste di carne da offrirne anche al nemico, che si ritirò credendo che la città potesse resistere anni. Loro invece si nutrirono solo delle interiora e delle trippe! Porto per questo episodio è anche detta la città Invicta.(*)
Un’altra versione dell’appellativo attribuisce l’origine del nomignolo dato agli abitanti di Porto all’usanza della popolazione, per motivi d’economia, di conservare la carne sotto sale per le lunghe spedizioni marittime, cibandosi prevalentemente delle interiora degli animali.
(*) Analogo stratagemma fu adottato a Napoli, durante l’assedio dei longobardi di Benevento nell’834 d.C. Un aneddoto assai caratteristico del Chronicon Salernitanum, riportato da Gino Doria (Storia di una Capitale, Riccardo Ricciardi Editore, Milano – Napoli 1975, pag. 25) riferisce di un inviato del principe di Benevento che, venuto a Napoli per trattare la pace, dopo essere stato introdotto in città, fu portato in una grande piazza dove erano in bella mostra colossali cumuli di grano. Tornato a Benevento, l’ambasciatore riferì al principe che i napoletani avevano vettovaglie per affrontare un lunghissimo assedio, e consigliò quindi di stringere la pace a condizioni più favorevoli per Napoli. «Il dabben Longobardo non si era accorto che quegli enormi mucchi di grano erano semplicemente di sabbia, sulla quale i furbi Napoletani avevano disteso un sottile strato di frumento!»

Durante la dominazione angioina, poi, le frattaglie degli animali macellati in Castel Nuovo erano lanciate dagli spalti della fortezza nel fossato sottostante alle donne in attesa che richiedevano a gran voce «les entrailles», “le interiora”. Da allora, tutte le femmine del popolino urlanti e scarmigliate furono additate come ‘e zentraglie!


Cabo da Roca

Lo sapevate che in Portogallo si trova il punto più occidentale dell’Europa continentale? È Cabo da Roca, a occidente di Lisbona, nel territorio di Sintra, una rupe a strapiombo sull’oceano, alta 140 metri sul livello delle acque, là «dove la terra ha termine ed il mare inizio», come suggerì il poeta (Camões), a 38° 47’ di latitudine Nord e 9° 30’ di longitudine Ovest.

Un simpatico attestato di presenza sul posto può essere acquistato da qualsiasi visitatore che lo richieda all’apposito ufficio turistico autorizzato nei pressi del faro.


Five o’ clock

il tè delle cinque, un’istituzione tipicamente britannica……… d’origine portoghese. Già, perché, anche se furono gli olandesi della Compagnia delle Indie i protagonisti della prima vera importazione del tè in Europa nel 1610, la conoscenza della bionda bevanda si deve ai navigatori lusitani, che nel secolo precedente, all’epoca del loro insediamento a Macao, per primi portarono dall’Oriente le tenere foglioline della pianta sconosciuta nel nostro continente. Fu, inoltre, la principessa portoghese Catarina de Bragança, ghiotta dell’esotica bevanda, a diffonderne la moda ed il cerimoniale alla corte d’Inghilterra, quando andò sposa a Carlo II nel 1662.

In Portogallo, poi, chi mostra modi un po’ grossier è indicato come persona che ha «mancanza di tè»; con spirito mordace Afonso Lopes Vieira, rivolto agli inglesi, scrisse allora:
E per insegnarti ad essere corretto, a te
ho posto in mano una tazza di té

Ben più consistente fu, tra l’altro, il dono di Boa Bahia, in India, successivamente modificata in Bombay, secondo pronuncia anglosassone, portato da D. Catarina come dote in Inghilterra, in cambio dell’appoggio ai portoghesi nella lotta contro gli olandesi. Ed il marito, profondamente innamorato della sposa, quando oltre Atlantico nel 1664 New Amsterdam, città precedentemente controllata dagli Olandesi, fu ribattezzata New York in onore del Duca di York, fratello del re, volle dedicarle un intero quartiere, che da allora è ricordato col nome di “Queens”.


Confeitaria Nacional

Dove nacque il “BOLO REI”
Con l’apertura di questa istituzione, subito dopo il ritorno dei francesi nella loro patria, i lisboetas cominciarono ad abbandonare l’abitudine di comprare i dolci nei conventi.
La Confeitaria Nacional (Pasticceria Nazionale) è stata riaperta e mostra tutto il fascino della sua tradizione di quasi due secoli. Con le sue caratteristiche romantiche, eleganti e semplici, la vecchia Pasticceria è nata nel 1829, in un periodo estremamente turbolento della vita portoghese. Infatti la città era appena uscita dall’occupazione francese, si era liberata dell’incomoda dipendenza britannica e si trovava quasi all’inizio di una guerra civile, le Lotte Liberali.
La Confeitaria è un’istituzione che non appartiene solo ai proprietari bensì alla città intera. Nonostante la difficile situazione del periodo, il pasticcere Balthazar Castanheiro aprì questa attività commerciale. I lisboetas, di contro al loro costume abituale, non ordinarono più i loro dolci nei conventi specializzati. Gli “alfacinhas” (gli abitanti di Lisbona) apprezzarono subito l’iniziativa di “Balthazar da Praça”, Balthazar della Piazza, come lo chiamavano perché il negozio era situato nella Rua da Betesga, vicino alla Praça da Figueira, dove tuttora si trova.
Il figlio di Balthazar da Praça, da parte sua, da vero innovatore, creò il cosiddtto “bolo-rei”, una torta a forma di corona regale, che da allora delizia i palati portoghesi nel periodo natalizio.

Il “bolo-rei” ha rischiato di perdere il suo nome nel 1911, nel periodo dell’instaurazione della Repubblica, perché alcuni parlamentari fondamentalisti proposero di cambiare il nome in “bolo-república”. Per fortuna la maggior parte dei parlamentari hanno mandato questa proposta “a quel Paese”…
La Confeitaria Nacional vive adesso la sua quinta generazione e Rui Viana, colui che ha ereditato l’attività, crede che possa “vivere ancora un secolo”, nonostante siano cambiati i metodi di lavorazione e fabbricazione che non hanno però pregiudicato la bontà e la qualità del prodotto, frutto di ricette secolari.
La Confeitaria Nacional, grazie al programma comunitario di sostegno al commercio, è stata totalmente rinnovata, simultaneamente all’attività di recupero effettuata nella sua vicina Praça da Figueira. Si è riusciti a non “alterare il locale” e, nello stesso tempo, lo si è reso funzionale e moderno, in regola con le più recenti norme di sicurezza in tema di lavoro. L’architetto Ana Albuquerque, che ha curato il progetto di recupero, pensa che i clienti frequentino la Nazionale “non solo per i dolci, ma anche per la bellezza del locale”. Alla sua fondazione, il primo piano dell’edificio era suddiviso in piccoli spazi privati, dove si nascondevano amori impossibili o semplicemente si sparlava dei vicini. Nell’ambito dei lavori di recupero tale spazio è destinato ad attività di ristorazione. [Silvana Urzini]


L’EURO PORTOGHESE

Vediamo come la moneta unica è stata interpretata dal Portogallo. All’epoca della scelta, fu bandito un concorso al fine di individuare la più interessante soluzione da adottare per la faccia nazionale. Fu scelto il progetto dell’artista VICTOR MANUEL FERNANDES DOS SANTOS. Tutte le monete infatti riportano le sue iniziali VS come riportano le iniziali della Imprensa Nacional Casa da Moeda: INCM. Altro elemento comune a tutte le monete è il nome PORTUGAL e il millesimo 2002 che sono caratteri inseriti tra i castelli e gli stemmi, gli stessi castelli e gli stessi stemmi inseriti sulla bandiera del Portogallo.
Le monete da 1, 2 e 3 centesimi riportano al centro il sigillo del 1134 di Afonso Henriques (non ancora Re all’epoca).
Le monete da 10, 20, e 50 centesimi riportano al centro il sigillo del 1142 di Afonso Henriques che, dopo la vittoria nella battaglia di Ourique contro i musulmani nel 1139, aveva assunto il titolo di Re.
Le monete da 1 euro e 2 euro riportano al centro il sigillo reale del 1144 di Afonso Henriques divenuto Re del Portogallo con protezione papale. Queste due monete riportano le dodici stelle della bandiera europea. D’altro canto tutti gli stati hanno inserito il bordo con le dodici stelle a coronare gli elementi nazionali. Questo elemento comune simboleggia il dialogo, lo scambio di valori e la dinamica della costruzione europea.
Interessante, nel caso del Portogallo, la scelta di elementi che ci riportano al percorso di formazione della nazionalità.
Afonso, figlio di Henrique, ovvero Afonso Henriques, fu il primo Re del Portogallo, dichiarato regno indipendente da Castiglia nel 1143 con il Trattato di Zamora sottoscritto dal Re di Leone e Castiglia, D. Afonso VII alla presenza del legato papale Guido de Vico.
Per comprendere come nacque il Portogallo regno autonomo dobbiamo ricordare che risale al 711 l’invasione araba della penisola iberica. Alla fine del secolo XI D. Afonso VI era Re di Leone, Castiglia e Galizia. A sua figlia Teresa, che andò sposa al Conte D. Henrique di Borgogna, dette in dote il Condado Portucalense situato approssimativamente nella zona dell’attuale città di Oporto. Il figlio di D. Henrique, Afonso, inizierà la costruzione dell’attuale Portogallo, conquistando lentamente il territorio ai re mori. Nel 1179, con la bolla papale Manifestis probatum il Papa Alessandro VI dichiarava il Portogallo regno di S. Pietro e poneva il monarca e i suoi eredi sotto la protezione della Santa Sede. Dopo la morte di Re Afonso Henriques il figlio D. Sancho I continuò l’opera di riconquista dei territori e, dal 1189, divenne Re di Portogallo e Algarve. Dopo alterne vicende nel 1385 furono fissati i confini che il Portogallo tuttora mantiene.


I vecchietti “gialli” di Lisbona

Un tram chiamato “saudade”
I tram sono un vero “ex-libris” della città di Lisbona. Autentiche reliquie, che vivono come mezzi di trasporto e che, salendo e scendendo le sette colline sulle quali, a somiglianza di Roma, si fonda la città, conservano gran parte delle memorie della capitale portoghese. È per questo che un quadro di Lisbona non può considerarsi completo senza uno di questi “vecchietti gialli” lisboetas. Insomma la tradizione…è ancora quella di una volta.

I tram di Lisbona, che per la loro peculiarità, a mezza strada tra il tram vero e proprio e la funicolare, sono chiamati elevadores, prima dell’avvento della trazione elettrica si spostavano per mezzo di un sistema di contrappesi ad acqua ed a vapore. Ce ne sono diversi, ognuno con nome proprio: Lavra (1884), Glória (1885), Bica (1892), Santa Justa (1901). Altri sono stati soppressi con l’entrata in circolazione di vetture elettriche e di autobus, segnatamente, Estrela (1890), Chiado (1892), Graça (1893), S. Julião (1897).

Tutti gli elevadores, ad eccezione del Santa Justa, a tragitto verticale, si spostano lungo piani inclinati, alcuni diritti, altri tortuosi, per stradine ripide e strette.

Il tram vero e proprio, quello a percorso pianeggiante o con moderata pendenza, con scartamento di appena 900mm, è detto, invece, eléctrico.

Il tram, il mitico 28, ma anche il n°12, sale fino ad Alfama, sovrastando così parte del caseggiato di Lisbona e avvistando, sullo fondo, il Tejo azzurro; poi si arrampica da S. Bento fino ad Estrela, “strizzando l’occhietto” alla Basilica. Il tram fa visita alla Graça e ai Prazeres, con i suoi viaggi interminabili e giornalieri, transitando per vicoli larghi solo 4 metri, con raggi di curvatura inferiori ai 10 m e superando anche pendenze del 14,5 %. Sono così i tram di Lisbona, il mezzo di trasporto più romantico della capitale. Lisbona è una città lungimirante, che sta attuando un dinamico processo di modernizzazione che abbraccia il presente e la proietta nel futuro, ma la presenza di questi simpatici trasporti le conferiscono un aspetto nostalgico. Attraverso le linee tortuose di Lisbona, i tram gialli salgono e scendono le sette colline, sempre sotto il comando del conduttore, una figura professionale che esiste ancora oggi ma che fa già parte dell’immaginario collettivo della capitale portoghese.

La storia dei tram, proprietà dell’impresa Carris, si confonde con la stessa storia di Lisbona, visto che questi mezzi accompagnano la crescita della città. Tutto è cominciato il 17 novembre del 1873, quando fu inaugurata la prima linea di trasporti dell’impresa, tra la Stazione della Linea Nord ed Est (conosciuta oggi come stazione di Santa Apolónia) e l’estremo ovest dell’ Aterro da Boa Vista, l’attuale Santos. Gli anni seguenti furono caratterizzati da una frenetica attività di costruzione della linea elettrica e, il 31 agosto del 1901 (quindi più di 100 anni fa…), si inaugurò il servizio regolare dei tram.

Con l’avvento dei tempi moderni e la necessità di una maggiore comodità e velocità nel trasporto, il tram è stato superato dall’autobus, fino
all’inizio degli anni ‘ 90. In seguito, i responsabili dell’impresa, decisero di investire nuovamente nel tram, proprio perché rappresentava un simbolo di Lisbona, riflesso di una memoria che la città non voleva cancellare. Negli ultimi anni, l’impresa ha modernizzato e rimodellato i tram disponibili, con una operazione che consiste nella sostituzione totale delle parti meccaniche ed elettriche del veicolo, inclusi i motori, le trasmissioni, le sospensioni, i freni ed il controllo di velocità.

Oltre ai vecchi tram, vero patrimonio della città, dal 1995 circolano nuovi tram articolati, mezzi biarticolati, costituiti da tre corpi, in acciaio inossidabile. I nuovi tram hanno una lunghezza di 24 metri ed una capienza per 210 passeggeri, dei quali 65 seduti. Con questi mezzi di trasporto più moderni, la velocità massima raggiunge i 70 chilometri l’ora. Un miglioramento vertiginoso, segnale dei tempi che corrono…

[Silvana Urzini-Francesco Conte]


Elevador de Santa Justa

Un’ascesa verso il cielo
Situato nel cuore del quartiere pombalino della città di Lisbona, l’Elevador de Santa Justa è diventato una tappa obbligatoria per qualsiasi turista. L’Elevador è già stato fotografato milioni di volte, sotto tutte le angolazioni: da fermo, in viaggio, etc…Insomma la fotogenica struttura può considerarsi una irresistibile attrazione turistica. Una ragione c’è: l’Elevador de Santa Justa offre a qualsiasi visitatore una delle viste più belle della città di Lisbona e ciò non deve sorprenderci se solo pensiamo ai suoi 45 metri di altezza!

L’Elevador de Santa Justa è un mezzo di trasporto pubblico che risale al periodo dell’architettura in ferro. Sale dalla Rua de Santa Justa, nella Baixa, fino al Largo do Carmo ed è attualmente l’unico elevador verticale della città, da quando è scomparso, nel 1915, quello della Biblioteca. La sua costruzione, a carico dell’impresa Elevadores do Carmo, è stata autorizzata il 6 luglio 1899, con un progetto pioniere ad opera dell’ingegnere francese R. Mesnier du Ponsard.

Il vistoso Elevador de Santa Justa è caratterizzato da una struttura in ferro costruita attraverso un cavalcavia metallico di 25 metri, sostenuto nel mezzo da un pilastro di cemento armato e, in uno degli estremi, da una torre metallica di 45 metri di altezza. Così è facile capire l’emozione che si sente durante i pochi minuti di quel lento viaggio verso il cielo. Ma quando si esce, quando si aprono le porte ed il vento fresco ci accarezza il viso, ci troviamo di fronte ad un mare di bellezza. Se preferite, invece di continuare avanti, direttamente verso il Largo do Carmo (il Convento è in ristrutturazione, non può essere visitato, ma il Largo, di per sé, è magnifico: ha una chiesa, “tascas”, piazzali, una fontana e la caserma del Carmo, protagonista della “Revolução dos Cravos”, la «Rivoluzione dei Garofani» del 1974, e permette l’accesso allo Chiado), potete salire fino alla parte più alta dell’ascensore, da dove potrete ammirare Lisbona in una prospettiva unica. Vi troverete nel luogo più adatto per riposare, prendere un po’ di sole e sentire dall’alto le vibrazioni che emana la città. Vale proprio la pena fare questo viaggio, fermarsi in alto, per sentirsi vicino al cielo! L’Elevador de Santa Justa è stato inaugurato il 10 luglio 1902 e appartiene all’Impresa Carris. [Silvana Urzini]


Le “TASCAS”

Ecco una vera e propria istituzione portoghese: la “tasca” (trattoria). Si mangiano cose fatte in casa; si bevono “ginhinhas” (liquore di amarene) o bicchieri di vino rosso fresco. Di lí si passa e ci si ferma. Ce ne sono varie a Lisbona.

La “tasca” è un luogo tipicamente portoghese. Sono spazi di piccole dimensioni, normalmente arredati in maniera grezza, semplice ma con una propria personalità. Qui si incontrano persone di vari tipi e caratteri.

Padri di famiglia, di passaggio tra il lavoro e casa, che si fermano per bere una “loirinha fresquinha” (biondina fresca, formula popolare per chiamare la birra alla spina), vecchi solitari che passano il tempo con “um copo de três” (bicchiere di vino rosso), gruppi di giovani che bevono ginginhas.

Le “tascas” (o “tascos”, come sono chiamate in alcuni punti del Paese), di solito, sono spazi dove s’incontra la più gustosa cucina portoghese.

Tra i ristoranti raffinati o le “tascas” di Lisboa, c’è chi sceglie quest’ultime perché sa che i piatti sono più gustosi, più autentici, più genuini. “È cibo fatto in casa”, garantiscono.

La “Tia Alice”.
Il Bairro Alto è, per eccellenza, il punto con la maggiore concentrazione di “tasquinhas” nella città di Lisboa. Spazi frequentati di giorno dagli abitanti più vecchi del Quartiere, in cui tutti si conoscono, e di notte abitato da nottambuli, avidi di conversazione e di “bicchieri”, per iniziare a vivere la notte che si vuole lunga e completa.

“Arroz Doce” è una delle più conosciute “tascas” del Bairro Alto. Questo è il nome ufficiale, ma la trattoria situata nella Rua da Atalaia, ha acquisito il soprannome fraterno di “Tia Alice”, in onore della proprietaria.
La decorazione non è più quella originale, probabilmente non si è resistito alla tentazione di “modernizzare” il locale che è ancora un luogo di culto della notte lisboeta. Qui si sono bevuti molti bicchieri, si sono scambiate molte parole e si sono raccontate molte storie…

Ma lí vicino, nella Rua da Rosa, ci sone le “Catacumbas”, dove si può bere del buon vino e si possono mangiare “bifanas” (panini con dentro una fettina di carne) con il pane cotto a legna. È una tasca a sorpresa perché in fondo c’è una sala nascosta dove si può ascoltare jazz. La clientela certamente non è la stessa. Anche i prezzi non lo sono.

Un altro punto per una fermata obbligatoria, lo possiamo trovare nella Rua S. Pedro de Alcântara, lo “Estádio”, “tasca” così chiamata a causa dei quadri appesi alla parete che raffigurano lo Estádio Nacional. Di notte è sempre pieno fino ad arrivare quasi alla porta. Un vecchio “juke-box” riporta alla memoria vecchie canzoni che fanno piangere perfino le pietre del marciapiede.

L’incursione nel Bairro Alto termina nella Rua do Diário de Noticias, dove troviamo “Flor da Branca”. Un bancone di marmo rovinato dal tempo, armadi di legno, utensili d’inizio secolo ed un vecchio orgoglio per la tradizione. Ecco la “tasca” nella sua forma migliore. E per chi ama i liquidi forti un suggerimento da provare: “traçadinhos”, “abafados”, “carajitos”!

Parlare di “tasquinhas” di Lisboa senza scendere verso il Rossio e dintorni e dimenticarsi di “Ginginhas” sarebbe un crimine.

La ginginha è una bevanda tipica lisboeta, liquorosa e forte. La ginginha, vera istituzione nazionale, ha reso fama ad alcune “tascas” sin dalla fine del secolo scorso. Da lì sono passati molti pensatori di questo secolo.

Ci sono varie ginginhas vicino a Rossio. Una così chiamata nel Largo di S. Domingos; la “Ginginha Popular”, nella Rua das Portas de Santo Antão; la “Ginginha Sem Rival”, nella stessa via; la “Ginginha-Rubi”, nella Rua Barros Queirós e nell’Avenida da Liberdade. In queste Ginginhas, i gesti si ripetono meccanicamente. Si entra, ci si avvicina al banco di pietra, si chiede il prezioso liquore e si beve tutto in un sorso. A domani. [Silvana Urzini]


IL “MIRACOLO DI OURIQUE”
26 luglio 1139

Nella piana dell’Alentejo, nel sud del Portogallo, poco distante dal villaggio di Ourique, le forze guidate dal Principe Portoghese Afonso Henriques, della Casa di Borgogna, si scontrarono con una coalizione di Mori Almoravidi, condotte dall’Emiro Ali ibn Yusuf, che dalla fine del secolo precedente avevano occupato tutta la regione sud-occidentale della penisola iberica.

Sebbene fortemente inferiori per numero ed armi le milizie cristiane riuscirono a prevalere sulle più numerose armate arabe, ma più deboli sul campo per problemi interni di comando.

Si tramanda, in merito, il ricordo di un evento eccezionale verificatosi nell’immediata vigilia della battaglia. Afonso Henriques, dopo una giornata di sfibranti preparativi per lo scontro, si apprestava ad un meritato riposo nella sua tenda quando un vecchio che era riuscito ad avvicinarlo indisturbato l’invitò a recarsi da solo in un luogo appartato. Lì giunto, fenomeno soprannaturale, in uno squarcio tra le nuvole, illuminata da un lampo, una croce enorme col Cristo circondato dagli angeli, che gli prediceva la vittoria nei combattimenti del giorno seguente e la sua nomina a re.

Storia o leggenda? Fatto sta che dopo un lungo e terribile scontro, ciò che rimaneva dell’armata dei cinque re Mori fu dispersa nella piana dell’Alentejo, compiendosi quello che fu considerato, da allora in poi, un miracolo divino, il “Miracolo di Ourique”.


“Milagre de Ourique”, 1793, olio su tela, cm 270 x 450
Quadro di Domingos Sequeira (1768 – 1837)
Musée Louis-Philippe du château d’Eu, Eu, Francia

La portata della vittoria sui cinque re Mori, sconfitti ed uccisi, fu tale da indurre il Principe, col sostegno delle truppe ed in forza della profezia divina, a proclamarsi re del Portogallo col nome di Afonso I, includendo nel suo stemma cinque scudi a rappresentare i cinque re sconfitti .

Riguardo al “miracolo” la Storia rammenta che l’intervento soprannaturale a favore delle forze portoghesi è scaturito anni dopo la battaglia e che originariamente la figura apparsa al principe Afonso era San Giacomo, santo largamente venerato in tutta la penisola iberica, con particolare devozione a Santiago de Compostela, in Galizia, dove si suppone siano conservate le sue spoglie, comunemente noto come matamoros (ammazza-mori). Ragioni politiche, dovute alla necessità di prendere le distanze da tutto quanto praticato in Spagna, indussero in un primo tempo a sostituire San Giacomo con San Giorgio e, successivamente, con la stessa figura del Cristo. La leggenda del “Miracolo di Ourique” divenne, così, uno strumento politico per difendere l’indipendenza portoghese come volere divino. [F. C.]


Origine del Nome

La moderna denominazione dello stato iberico che s’affaccia tutto sull’Atlantico, non ha nesso alcuno col pennuto animale, né tanto meno col citrus cinensis, o limone cinese, l’arancia nostrana, per intenderci, così come l’agrume è altrimenti noto in Italia, specialmente nella parlata delle regioni meridionali (purtuallo). No, è termine, invero, d’origine latina, anche se Lusitania è l’appellativo col quale a Roma s’indicava quella terra. Portogallo deriva, infatti, da Portus Cale, termine col quale i Romani, intorno al 200 a. C., dopo aver strappato la penisola iberica ai Cartaginesi durante la Seconda Guerra Punica, indicarono l’approdo fluviale di Cale, un primitivo insediamento di pescatori alla foce del fiume Douro, prossimo all’oceano ma al riparo dallo stesso, nel nord del paese.
Dal Medio Evo in poi, la denominazione Portucale designò dapprima solo il circondario dell’antico abitato, successivamente si estese a tutto il territorio compreso tra il fiume Douro ed il corso del Minho, lungo quello che sarebbe diventato in seguito parte del confine settentrionale del nuovo Stato con la Spagna. Con la costituzione, nel 1095, del «Condado Portucalense» prese corpo, infatti, il primo nucleo territoriale del futuro Portogallo.
Il toponimo subirà nel tempo un’ulteriore modifica in Portugale, fino a giungere, con la perdita della e finale, alla moderna locuzione di Portugal.

Non tutti i glottologi sono d’accordo sull’origine del nome Cale: alcuni propendono per il greco κάλος (calos, bello) dato da probabili navigatori di quel lontano paese, affascinati dall’amenità della Valle del Douro, altri ritengono, invece, il nome d’origine fenicia essendo stato quel popolo marinaro il primo ad approdare nella zona, mentre altri ancora l’attribuiscono ai Callaeci, antichi abitatori della regione.
Dalle due componenti originarie del termine Portucale, in ogni caso, è derivato Porto, per indicare la seconda città del Portogallo cresciuta sul posto dell’antico insediamento, mentre Cale, modificata in Gaia, darà luogo a Vila Nova de Gaia, sulla sponda opposta del Douro, unita alla precedente dal ponte simbolo della città.
[Francesco Conte]


Il Gallo di Barcelos

Narra la leggenda che un pellegrino portoghese, forse un mercante, diretto a Santiago di Conpostela, giunto nella cittadina di Barcelos, al confine con la Galizia, per trascorrere la notte in una locanda, sia stato ingiustamente accusato dall’oste di un crimine che non aveva commesso. Cronache differenti parlano di furto, altre di omicidio. Comunque sia, tutte riferiscono della condanna alla pena capitale dello sventurato. Senza alibi e con tutte le corcostanze contro, a nulla valsero le sue vibranti proteste d’innocenza.

Dopo aver implorato l’aiuto di San Giacomo ed essersi affidato alla Divina Provvidenza l’uomo chiese come ultimo desiderio di essere condotto alla presenza del giudice; davanti al magistrato assiso ad una tavola riccamente imbandita, con un grosso gallo arrosto al centro della mensa, il condannato proclamò nuovamente la sua innocenza e, rivolto al Cielo, affermò che a sostegno delle sue affermazioni il gallo si sarebbe sollevato ed avrebbe cominciato a cantare. Le conseguenti reazioni di scherno e derisione dei commensali furono, però, immediatamente soffocate all’avverarsi del fenomeno. Il gallo balzò su e con un sonoro chicchirichì salvò la vita del povero pellegrino.

Un’altra versione riporta con più verosimiglianza il canto di un gallo vivo contenuto in un paniere posseduto da uno spettatore durante il processo contro un invitato accusato del furto di un prezioso oggetto d’argento durante un banchetto offerto da un ricco proprietario di Barcelos. Al momento dell’invocazione da parte dell’imputato a testimonianza della sua innocenza, il pennuto animale avrebbe cantato scagionadolo dall’accusa e salvandolo da sicura condanna.

Da allora il simpatico bipede, emblema di fede, giustizia e buona sorte, è assurto a simbolo del Portogallo. Esemplari di ceramica colorata decorati con simboli e cuoricini di varie dimensioni sono in vendita in tutti i negozi di souvenirs del Paese. [Francesco Conte]


BACALHAU

Un baccalà tutto portoghese di Maria Luisa Cusati

Nell’Africa del Sud esiste una Academia do bacalhau (1) che ha come fine istituzionale quello di servire da punto di riferimento e di contatto tra i portoghesi emigrati in quelle terre. Il baccalà diviene quindi soggetto in un processo di comunicazione che vede come riceventi capaci di decodifica coloro i quali abbiano radici portoghesi. E i discorsi dei commensali alle periodiche riunioni conviviali che l’Accademia organizza, sono pervase da una tenera «saudade» per quel «fiel amigo».
Per i portoghesi, infatti, è sempre stato l’amico fedele ma oggi si riconosce con un certo rimpianto che ha tradito; ha raggiunto livelli di prezzo che lo rendono pressoché inavvicinabile per cui lo si definisce un «caro amigo» ma, naturalmente, non si può rinunciare ad esso. È un alimento assurto a dignità di simbolo, vero e proprio codice, inteso come elemento agglutinante per un popolo sempre proiettato verso l’esterno in una costante epopea di viaggio e di scoperta.
E verso il mare, in una continua azione di difesa della propria individualità che sentivano minacciata dal regno confinante, si è sempre indirizzata la vita dei portoghesi, pescatori e viaggiatori.

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1. L’Accademia è molto viva se, consultando l’ultimo numero del settimanale O Século de Joanesburgo (15 aprile 1991), ho trovato sia il resoconto particolareggiato, da Pretoria, della consueta riunione conviviale mensile a base di baccalà, sia la notizia della convocazione per l’elezione del nuovo Presidente. Mi è sembrata interessante anche una inserzione pubblicitaria che propone l’acquisto, per posta, di baccalà genuino portoghese. Sono a conoscenza dell’esistenza di sezioni dell’Academìa a Pretoria, Durban. Johannesburg, Petermaritzburg.

1. Cenni storici

Abbiamo notizia dell’interesse dei pescatori portoghesi per la pesca nei mari del Nord fin dal XIV secolo. Nel 1353 sappiamo (2) che fu sottoscritto un accordo tra re D. Afonso IV di Portogallo e Eduardo III di Inghilterra: grazie ad esso i portoghesi avrebbero potuto pescare, durante i successivi 50 anni, lungo le coste inglesi. Ciò fa presupporre una più antica consuetudine ed è noto che i portoghesi già dal X secolo erano in rapporti commerciali, quali fornitori di sale, con gli scandinavi.
Il baccalà, in accezione italiana, è il «merluzzo salato ed essiccato al sole» mentre in portoghese la parola bacalhau indica la varietà di merluzzo adatta a questo utilizzo anche quando è vivo o appena pescato. Questo pesce, della famiglia dei gadidei, vive bene nelle zone di confluenza di correnti fredde polari. Ciò spiega come mai non superi la fascia tra i 40° e i 60° di latitudine N e come nella zona dei banchi di Terra Nova vi sia una presenza tanto compatta di tali pesci nel periodo aprile-settembre quando si ha il confluire della corrente fredda del Labrador e quella calda del Golfo (3). In quelle acque João Vaz Corte Real, nel viaggio che realizzò tra il 1473 e il 1474 (4) con Álvaro Martins Homem, si trovò addirittura impedito nella navigazione dalla massa di pesci. Secondo la tesi portoghese João Vaz Corte Real sarebbe giunto prima di Caboto a Terranova ed è probabile che i portoghesi siano stati favoriti in questi viaggi di scoperta dalla conoscenza delle Azzorre (raggiunte nel 1427) che utilizzarono come base. Le notizie incerte su questi primi viaggi verso Terranova si spiegano probabilmente con la rivalità tra Spagna e Portogallo per il possesso dei tenitori che si raggiungevano (5)
Nel XVI secolo la pesca del bacalhau assume sempre più importanza per i portoghesi, si fissarono tasse, diritti doganali (6) e si organizzò una flotta da pesca sempre più importante mentre si regolamentava il commercio di questo prodotto.

Questa fase vide una flotta di almeno cinquanta imbarcazioni portoghesi in attività di pesca nei banchi di Terranova e risulta che colonie di pescatori portoghesi esistessero già nel 1504 nella stessa Terranova. Dati precisi sulla presenza in loco di una colonia di pe­scatori di Viana fanno pensare che si praticasse la cosiddetta pesca sedentaria con la permanenza, cioè, degli equipaggi a terra e delle navi alla fonda. In tal modo, a fine campagna, le navi rientravano con il pesce già salato ed essiccato (7). Il consumo intanto era sempre così alto da far permanere necessaria l’importazione.
Durante il breve regno di Don Sebastiano si sentì la necessità di organizzare sotto un unico comando le flotte per la pesca del bacalhau e risulta che venivano pescate circa tremila tonnellate di pesce, quantità sufficiente al consumo interno. Dopo la sua morte, il conseguente periodo di unione con la corona spagnola portò al momento di maggiore crisi di quest’attività. Ci furono problemi amministrativi e fiscali. L’organizzazione della Invincibile Armata, per la quale si richiesero tutte le imbarcazioni disponibili, segnò la fine della pesca portoghese del bacalhau.
La necessità, dopo la restaurazione della monarchia, di riprendere buone relazioni con i paesi europei da cui era stato allontanato dalla unione con la Spagna, portarono il Portogallo, nel 1642, alla stipula del trattato di Pace e Commercio con l’Inghilterra. Con esso si permetteva il libero commercio tra gli abitanti e sudditi dei due regni. Sulla interpretazione, in termini fiscali, di tale trattato sorsero varie questioni che ebbero però come oggetto sempre il commercio del bacalhau. Avvenne infatti che gli inglesi lo vendessero a prezzi esorbitanti e la cosa fu molto criticata principalmente perché si trattava di un alimento popolare.
Questa crisi non durò poco e il paese ebbe necessità di una continua, notevole importazione. Alla fine del XVIII secolo si decretò una esenzione dalle imposte per tentare di favorire la ripresa dell’attività; l’iniziativa però non sortì grandi effetti. Soltanto nel XIX secolo infatti fu dato nuovo impulso con un decreto (8) che favoriva la pesca in mari lontani ma fu necessario acquistare dall’Inghilterra sei imbarcazioni specificamente attrezzate e utilizzare equipaggi inglesi per addestrare i portoghesi (9). Abbiamo quindi un periodo di nuovo entusiasmo caratterizzato dall’aumento delle imbarcazioni e dal sorgere di strutture di supporto. Sia il Governo sia la Chiesa cercarono sempre di sostenere quest’attività che giunse al suo declino nel periodo di grandi trasformazioni che seguì il 25 aprile 1974.

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2. Cfr. Silva Marques, Descobrimentos Portugueses, I, supl., Lisboa 1944, pp. 94-95, n. 80 e Alberto Ina, 0 Algarve e os Descobrimentos, Lisboa 1956, I, 217, cit. da J. Verissimo Serrão, História de Portugal, I, 2a, Lisboa, Verbo, 1978, p. 364; in questo senso ho corretto l’informazione di M. Moutinho, História da pesca do bacalhau – para urna antropologia do «fiel amigo», Lisboa, ed. Estampa, 1985, p. 15.
3. Gadus morrhua è il nome scientifico della varietà di merluzzo che viene utilizzato per la conservazione. Lo stesso pesce che, nelle isole norvegesi, si secca al vento su bastoni di legno e che viene chiamato stoccafisso. In quelle zone il metodo di pesca e i ritmi di tale attività sono diversi. Tra gennaio e marzo infatti i merluzzi sono presenti in numero notevole per la riproduzione ed inizia l’attività di pesca. Le coste si coprono di luccichii argentei per le grandi quantità di pesce messo ad essiccare al vento freddo. Solo quando il vento non è sufficiente o la temperatura è troppo bassa, come in gennaio, si prepara il baccalà, ovvero il merluzzo viene trattato con il sale.
4. Cfr. A.H. Oliveira Marques, História de Portugal, Lisboa 1976., I, pp. 310-311. Nelle rappresentazioni cartografìche abbiamo un fluttuare delle indicazioni onomastiche per questa terra, esse si rifanno comunque sempre ai risultati di questo viaggio. Dopo Terra del Rey de portugall del famoso planisfero anonimo detto «Cantino» (1502) troviamo Terra Corte Regalis usata da Lopo Homem nel 1519 con l’indicazione, tra i vari toponimi annotati lungo la costa, y. dos bacalhaos. Nel 1554 lo stesso cartografo usa Terra Nova lusitaniae mentre nel 1529 Diogo Ribeiro, nella carta che si conserva nella Biblioteca Vaticana, aveva ancora usato Tiera Nova de Cortereal sempre con l’indicazione, lungo la costa, i. Nova de bacallaos. Nella carta anonima (attribuita allo stesso Diogo Ribeiro) datata 1532 che si conserva nella Herzog August Bibliothek di Wolfenbuttel troviamo invece Tiera Nueva de los bacallaos sempre con l’indicazione, sulla costa, y. de Los bacallaos. Nelle carte del seicento troveremo l’indicazione Terra Nova senza più riferimenti né a Corte Real né al baccalà, resta invece l’indicazione, tra i toponimi segnati lungo la costa, bacalhaos. Ho potuto esaminare le rappresentazioni cartografiche, riunite in splendide riproduzioni, nell’ album che accompagna ì Portugaliae Monumenta Cartographica, Lisboa, Imprensa Nacional – Casa da Moeda, 1987.
5. Si cercava infatti di tenere segreti i risultati dei viaggi che si realizzavano. Solo nel 1494 con il Trattato di Tordesillas che veniva a modificare quanto stabilito l’anno precedente con la Bolla di Papa Borgia «Inter caetera», si fissarono definitivamente i limiti geografici entro i quali si sarebbero mantenute le pertinenze territoriali di Spagna e Portogallo. Cfr. I. Baptista, Viana na pesca do bacalhau: contributos para o estudo da sua história, Viana do Castelo, Forpescas, 1989, pp. 32-34. In questo studio vengono citate anche altre carte in cui Terranova viene indicata come Terra Corte Regalis (Reinel, 1519 e 1522), e Terra Nova de Corte Real (D. Ribeiro, 1529).
6. Nel 1506 il re D. Manuel fissò una tassa doganale sul baccalà che giungeva da Terranova ed entrava attraverso i porti di Entre Douro e Minho. Intorno al 1522 tale tassa rendeva cento cruzados che era una cifra straordinaria all’epoca. Nel 1578 le imbarcazioni fornivano al Paese circa tremila tonnellate di pesce. Cfr. F. Manso, O. Cruz, A epopeia dos bacalhaus. Porto, Distri, 1984, p, 11
7. Cfr. M. Moutinho, op. cit., p. 21.
8. Il decreto del 6 novembre 1830 intendeva incentivare la pesca in generale abolendo ogni tipo di tassazione fino a quel momento imposta sul pesce pescato, sia in vicinanza della costa sia in mari lontani, da equipaggi e imbarcazioni portoghesi.
9. Scegliere di acquistare dall’Inghilterra, e non da altri Paesi che pure erano in continua attività di pesca, significò anche scegliere il metodo di pesca per il futuro.

2. La pesca: mezzi e metodi

La pesca del bacalhau era abbastanza complessa e pericolosa. Venivano utilizzati velieri (l0) attrezzati per la lavorazione e conservazione del pesce e che portavano a bordo da 12 a 60 dóris (11), ovvero barche monoposto destinate ai singoli pescatori. Giunti nella zona di pesca gli uomini si allontanavano con i propri dóris per pescare con la lenza (12).
Quando l’imbarcazione era carica ritornavano a bordo per depositare il pesce che veniva immediatamente lavato, tagliato e messo sotto sale. Le difficoltà e i pericoli erano molti, dal mare agitato alla terribile nebbia che poteva nascondere icebergs o navi contro cui il dóri correva il rischio di schiantarsi. La giornata di lavoro del pescatore era dura e lunga. Si rimaneva in mare per mesi nel periodo aprile-luglio e i malati o infortunati non potevano avere cure. Ciò creava grossi problemi che si riflettevano anche sulle condizioni igieniche nelle quali il pesce veniva lavorato.
L’alto consumo di bacalhau da parte dei portoghesi e il desiderio di limitare l’importazione (13) portarono ad uno sforzo di modernizzazione (14) e di protezione di questa attività per cui, con il regime dello Estado Novo che si ebbe dopo il 28 maggio 1926, si provvide ad una nave-appoggio specificamente attrezzata per l’assistenza igienico-sanitaria (15). Intanto veniva dato l’opportuno rilievo alla figura del pescatore esaltandone i meriti e le qualità e si organizzava in maniera ufficiale e sempre più solenne la partenza per la campagna di pesca. Tutte le imbarcazioni si raccoglievano alla foce del Tago e, nelle vicinanze dello storico monumento alle scoperte, si montavano palchi monumentali dove con una cerimonia religiosa in presenza di tutte le autorità civili e militari, si salutavano i partenti. La stampa presentava con grande enfasi l’avvenimento che coinvolgeva l’intero Paese mentre era compito specifico di O Pescador, supplemento mensile della Revista da Marinha, prodigarsi in un’opera di esaltazione delle qualità del pescatore costruendone il mito e preoccupandosi, con amichevoli consigli, di stimolare la sua capacità di lavoro ma anche di sopportazione in nome di una funzione sociale che veniva mostrata come insostituibile. Venivano pubblicati racconti con esempi edificanti insieme ad aforismi opportunamente costruiti come: «Se queres ter peixe a boa sorte / Não temas o mar nem a morte; Vive para o teu lar, para a tua pesca e para os teus filhos»; oppure «Pescar muito, cada vez mais e melhor, deve ser o teu fito e a tua divisa».
Il governo, però, non sostenne in maniera sufficiente gli sforzi per una reale modernizzazione delle attrezzature e dei metodi di pesca producendo uno sviluppo effimero. Il fatto stesso che continuassero ad essere utilizzati velieri poco produttivi dimostra il permanere di una situazione tale da non reggere, come è avvenuto, ai nuovi equilibri delineatisi dopo il 1974.
Oggi, in Portogallo, la pesca e la lavorazione del bacalhau praticamente non hanno rilievo economico.

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10. I tipi di veliero utilizzati erano: boena, brigue, patacho, escuna, lugre-patacho, lugre.
11. Il nome dóri deriverebbe dall’inglese wari e non dal nome del fiume Douro come comunemente si ritiene. Anche altri termini deriverebbero chiaramente dall’inglese. Moutinho, op. cit., p. 25.
12. Questo era il metodo di pesca usato dagli inglesi che esercitarono anche in ciò la loro influenza. All’epoca in cui furono ordinate le nuove imbarcazioni in Inghilterra, erano in attività di pesca a Terranova anche i francesi e gli americani. Questi ultimi utilizzavano un sistema più pratico e meno pericoloso che prevedeva una lenza con migliaia di ami che veniva messa in mare, segnalata da boe, e ritirata al mattino. I portoghesi presero poco in considerazione questo metodo.
13. La produzione nazionale rappresentava, infatti, solo il 10% del consumo totale.
14. Negli anni trenta le imbarcazioni a motore che utilizzavano un sistema di pesca con rete si affiancarono ai velieri che, anche se con motore ausiliare, continuarono la propria attività pur essendo considerati lenti e poco produttivi. L’ultimo veliero fece il suo ultimo viaggio nel 1974. (cfr. I. Baptista, op. cit., p. 40).
15. Si utilizzò una unità tedesca requisita nel 1916 cui fu dato il nome di «Gil Eanes» e che servì per il trasporto delle truppe fino al 1926. Nel 1927, dopo le opportune modifiche, partì per Terranova come nave-appoggio ma iniziò un servizio regolare solo dal 1937 in poi poiché fu utilizzata spesso per il trasporto di prigionieri nelle colonie. Nel 1955 fu sostituita da una unità di nuova costruzione che mantenne lo stesso nome e continuò la sua attività fino al 1973.

3. I ricettari

Il fluttuare degli avvenimenti storici ebbe ripercussione diretta non solo sulla produzione portoghese di bacalhau ma anche sulle sue fortune «sociali». Per la sua caratteristica di alimento non facilmente deperibile, trasportabile verso e zone interne e capace di soddisfare l’esigenza, sempre molto sentita, di ossequio al precetto religioso dell’astinenza dalle carni (16), esso acquisì ben presto la connotazione di alimento destinato agli strati sociali meno favoriti.
Inizialmente infatti questo pesce non veniva assolutamente preso in considerazione nell’allestimento di pranzi o cene destinati alle classi più abbienti e, mentre viene regolamentato l’uso delle carni e si ha noti­zia dell’utilizzo di vari pesci, sia conservati sotto sale che affumicati, il baccalà viene totalmente ignorato. Ricaviamo queste notizie da normative emanate dalle case reali per l’organizzazione di cerimonie ma non abbiamo testi di culinaria, infatti in Portogallo non solo la produzione di libri di cucina è scarsa ma anche le testimonianze manoscritte di cui disponiamo sono tarde. Mentre in Italia un primo libro di cucina appare agli albori della stampa, nel 1475 (17), in Portogallo dobbiamo attendere il 1680, data della prima edizione, parziale, dell’Arte de cozinha di Domingos Rodrigues (18). L’autore, cuoco del Conte di Vimioso e poi di casa reale, si preoccupa non solo di presentare le ricette, ma di fornire notizie sui cibi, i periodi in cui alcuni alimenti sono reperibili sul mercato e quindi di consumo più opportuno. Al pesce è dedicato il primo capitolo della seconda parte in cui si presentano i vari metodi di preparazione e si precisa quali sono le varietà reperibili nei diversi mesi dell’anno. Ne elenca trentuno tra cui la pescada, ovvero una delle varietà di merluzzo fresco, che dichiara reperibile e appetibile in ogni mese ma, anche se spesso le ricette vengono di dichiarate realizzabili con pesce secco o conservato, non troviamo alcun cenno al bacalhau.
La terza parte dell’opera, in cui l’autore propone dei possibili menu per i vari momenti dell’anno o cerimonie, ci mostra come il pesce venga considerato una necessità per i periodi di precetto stabiliti dalla Chiesa e inserito nei menù consigliati per il mese di Aprile, che coincide quasi sempre con il periodo di Quaresima, nel menù consigliato per il venerdì e il sabato e in un possibile banchetto di Quaresima.
Nonostante l’avvento e lo sviluppo della stampa e delle sue tecniche, la tradizione dei volumi manoscritti continuò in Portogallo sia per la scarsa circolazione che avevano i libri all’epoca, sia perché alcuni generi non prevedevano diffusione. Pensiamo agli studi di matematica, di botanica, di scienza nautica, a quei testi che necessitavano di una realizzazione grafica particolarmente curata perché destinati a venir donati o, infine, ai ricettari. Questi ultimi nascevano dall’esigenza di garantire la continuità di una tradizione culinaria già accettata e gradita ad una comunità o ad una fascia sociale, frutto di esperienza maturata nel tempo e divenivano, a volte, preziosi repositori di antica saggezza. La salvaguardia di tale patrimonio, in ultima analisi, poteva significare la sopravvivenza come accade per le preziose ricette delle Clarisse di Évora, famose per i loro dolci, che non potevano essere divulgate (19). Abbiamo quindi ricettari conventuali e di palazzo, testimoni, comunque, di abitudini e scelte operate da gruppi ristretti.

Tra le testimonianze manoscritte, la raccolta più antica è conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli ed è stata pubblicata per la prima volta da Giacinto Manuppella e Salvador Dias Arnaut, nel 1967 (20). Si tratta di un codice manoscritto appartenuto alla Infanta D. Maria che si presuppone lo abbia portato con sé quando andò sposa ad Alessandro Farnese, duca di Parma, nel 1565. In esso non solo non risulta menzionato il baccalà, ma addirittura viene ignorato il pesce.

Nella Biblioteca Nazionale di Lisbona sono conservati inoltre due manoscritti settecenteschi ancora non studiati. Il primo (21) fu iniziato nel 1715 e completato nel 1728, vi si trovano menzionati vari pesci (lampreia, salmonete, pescada) e finalmente due richiami al baccalà, una ricetta di intingolo con cui servirlo e una per prepararlo in padella. Il secondo manoscritto (22) non porta data, è una recente acquisizione della Biblioteca e si trova attualmente in esposizione nel Museu do livro (23). Dal tipo di calligrafia, anche se di varie mani, lo si può far risalire al settecento. Mi è stato possibile consultarlo rapidamente (24) e questa volta il baccalà è trattato in tre ricette: da questo momento viene tenuto presente e si amplia sempre più la gamma di preparazioni inventate dai fantasiosi portoghesi per ammannire il baccalà in modi sempre diversi. I libri di cucina si evolvono e si trasformano, divengono anche strumento propagandistico, mentre il baccalà si può preparare «in venticinque modi», «in cento modi», «in trecento modi» o addirittura «in milleuno modi», come annunciano, trionfanti, i titoli di più moderni ricettari.

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16. «Ao contrário do que se imagina, os homens da Idade Média alimentavamse mais de peixe do que de carne. Na verdade as regras da Igreja determinavam 240 dias de jejum de carne, ou seja, quase dois terços do ano…». R. Amorini, Da mão à boca – para una história da alimentação em Portugal, Lisboa, Salamandra, 1987, p. 80.
17. Si tratta del De honesta voluptate di Bartolomeo Sacchi detto il Platina.
18. Una successiva edizione risale al 1683 mentre nel 1693 fu realizzata l’edi­zione comprendente anche la terza parte. L’ultima iniziativa editoriale (D. Rodrigues, Arte de cozinha, Lisboa, Imprensa Nacional – Casa da Moeda, 1987) è stata curata da M. da G. Pericào e M.I. Faria dal cui studio introduttivo si evince che le edizioni, tra il 1680 e il 1849, sono state oltre quindici. Le curatrici dichiarano di aver scelto, come base per il loro lavoro, l’edizione del 1732 «… pelo facto de eia ser uma das primeiras mais completas que nos foi dado encontrar». Si tratta comunque di una edizione realizzata in assenza dell’autore se sono esatti i dati biografici dalle stesse curatrici riferiti. Egli infatti sarebbe nato nel 1637 e morto il 20 dicembre 1719 per cui mi sembra che si possa tenere conto, con maggiore verosimiglianza, della edizione datata 1693 che certamente fu curata dall’autore e che, da quanto si evince dal Catalogo della esposizione di libri portoghesi di cucina realizzata dalla Biblioteca Nazionale di Lisbona nel 1988 è conservata nella stessa Biblioteca ed è stata ristampata nel 1721, 1821, 1836 e 1844. Cfr. Livros Portugueses de Cozinha, Lisboa, Biblioteca Nacional, 1988, p. 89.
19. Il loro ricettario, che si conserva presso la Biblioteca Nazionale di Lisbona (cod. 10763), si conclude con questa annotazione riservata: «Este livro se não entregará a outrem que não seja pessoa desta Casa, nem por cedência, nem por empréstimo, por afectar os proventos da feitura de doces que nesta Casa são feitos. St-ta. Clara de Évora, 26 de Outubro de 1729». Cfr.: Soror Maria Leocádia do Monte do Carmo, Livro das receitas de doces e cozinhados varios deste convento de Santa Clara d’Évora, 1729 pubblicato in edizione anastatica con trascrizione, introduzione e note a cura di M. Silva Lopes dall’editrice Barca-Nova, 1988.
20. O Livro de Cozinha da Infanta D. Maria de Portugal, leitura de G. Manuppella e S. Dias Arnaut, Coimbra, Acta Universitatis Conimbrigensis, 1967.
21. Si tratta di: Receitas dos milhores doces e de alguns guizados particullares e remedios de conhecida expiriencia que fes Francisco Borges Henriques para o uzo da sua caza. No anno de 1715. È un compendio casalingo di ricette, consigli e rimedi vari che non mi risulta sia stato analizzato finora. Una notizia e una rapida analisi in: P. Duarte, Variaçóes sobre a gastronomia, Lisboa 1944, pp. XXI-XXIII.
22. Si tratta di: Livro de cozinha para se governarem os que curiosamente quiserem guisar, feito pelo P. Fr. Manuel de Santa Teresa e oferecido aos irmãos leigos desta Provincia dos Algarves para acerto de seu laborioso exercicío…
23. Cfr. «Museu do libro» Exposição permanente de história do livro – O manuscrito através dos tempos – Catálogo III – Lisboa 1991, n. 43.
24. Solo grazie alla cortesia e disponibilità della direttrice Prof. Maria Leonor Machado e della D.ra Isabel Cepeda è stata possibile questa consultazione durante una mia breve permanenza a Lisbona

4. Il bacalhau nelle ricette

La lunga consuetudine nell’utilizzo del pesce conservato, secco, affumicato o salato ha stimolato i portoghesi ad inventare sempre nuovi modi di prepararlo. Non abbiamo ricette antiche ma piuttosto documentazione del suo utilizzo. Sappiamo, ad esempio, che dai conti della dispensa reale del periodo ottobre 1257-luglio 1270, regnante D. Afonso III, risultano acquistate «…640 dúzias e sete peixotas secas e 26 dùzias e cinco congros secos e…» Tenendo presente che peixota è il nome più antico della pescada, ovvero del merluzzo, possiamo ipotizzare la presenza di un prodotto molto simile a quello che sarà il baccalà. Lo immaginiamo quindi sempre presente nelle dispense, dove lo si poteva conservare a lungo, pronto per una continua sperimentazione che ha prodotto le attuali ricette tradizionali. Pian piano si è giunti alle centinaia di preparazioni oggetto di trattazione in tanti manuali.
Creatori di famose ricette di baccalà sono stati personaggi impor­tanti e sconosciuti divenuti famosi per questo loro merito. Uno di questi è Gomes de Sá. La ricetta da lui creata è giunta a dignità di piatto nazionale ma nessun portoghese saprebbe dire chi fu, dove visse e quando visse questo famoso Gomes (25).
Originario di Porto, commerciante di baccalà per molti anni, ebbe la sfortuna di fallire in seguito ad un incendio che fu giudicato doloso. Fu condannato, ma un suo buon amico che ne conosceva e ne apprezzava la rettitudine, riuscì ad ottenerne l’affidamento offrendogli un lavoro. Divennero soci e la sua vita poté concludersi in serenità. Era costui un buon gastronomo, grande intenditore di baccalà di cui elaborò una preparazione mettendo insieme tutti gli elementi cari al gusto portoghese: la cipolla, la patata, l’uovo e l’olio d’oliva. Propose la ricetta ad un importante ristorante nel centro di Porto, Restaurante Lisbonense (26), che l’apprezzò tanto da inserirla nel proprio menù e, dandole il nome del creatore, gli donò l’immortalità.
Ogni località si può dire abbia la sua ricetta tradizionale (27) e naturalmente Viana do Castelo, terra da cui sempre sono partiti numerosi i velieri e dove da sempre si secca il bacalhau al rientro degli equipaggi stanchi ed euforici, non poteva non avere una sua tradizione. Antonio Manuel Couto Viana (28) ricorda con portoghesissima «saudade» un ristorante noto come Margarida da Praça che proponeva la propria specialità di baccalà e ne riporta la ricetta originale nell’auspicio che venga mantenuta costante la tradizione. Ma c’è anche il baccalà alla «Lisboa Antiga», alla «S. Martinho» o «da Consoada», protagonista indiscusso della cena di Natale la cui atmosfera risveglia nel cuore di ogni portoghese.
I momenti di difficile approvvigionamento hanno stimolato la fantasia dei portoghesi al punto da spingerli ad usare le lingue dei baccalà, le teste e le pinne. Le teste e le lingue venivano comunemente commerciate mentre le pinne si escludevano dalla vendita, salvo a recuperarne la commestibilità nei momenti di carenza del pesce, principalmente in attesa che si commercializzasse il prodotto della nuova campagna.

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25. Cfr. L. Ferreira, Uma pessoa muito falada mas quasi totalmente deconhecida: Gomes de Sá e o bacalhau que o imortalizou, «Ver e Crer», VI, 1945, pp. 50-52.
26. Diversa la notizia fornita da José Quitério il quale afferma che Gomes de Sá fu costretto a lavorare come cameriere presso tale ristorante e che affidò ad un collega la ricetta di propria creazione. Cfr. J. Quitério, Livro de bem comer – crónicas de gastronomia portuguesa, Lisboa, Assido e Alvim, 1987.
27. Cfr. M. de L. Modesto, Cozinha Tradicional Portuguesa, Lisboa, Verbo, 1982. È la trattazione più completa di ricette regionali che l’autrice ha cercato di raccogliere in un viaggio alla ricerca delle tradizioni.
28. A.M. Couto Viana, 4 postos cimeiros de gastronomia do Alto Minho, in Atti – II Congresso de gastronomia de Viana do Castelo, 1985, pp. 16-20.

5. Etimologia del termine bacalhau

Tra gli elementi di interesse, è l’etimologia. Le ipotesi avanzate nel tempo sono molte. Oggi i dizionari etimologici più moderni sostengono la provenienza, per metatesi, dall’olandese cabeliawn (29) ma probabilmente è l’olandese che lo deriva dal portoghese bacalhau o castigliano bacallao per metatesi perché la parola appare insolitamente lunga per essere primitiva in quella lingua e non è possibile scinderla in elementi significativi come invece è possibile per il termine stockvisch (30) facilmente spiegabile con l’abitudine nordica di porre a seccare il pesce su lunghe pertiche. Altra ipotesi è che gli olandesi l’abbiano acquisita dai baschi che li precedettero nella pesca di questo gadideo nei mari del Nord (31). Il basco bakailao verrebbe da un cabillaud a sua volta derivante dal guascone cap = testa. Questo nome sarebbe giustificato dal fatto che il pesce è caratterizzato da una grande testa.
Altra ipotesi sarebbe una derivazione da baculum che troverebbe spiegazione anch’essa nell’abitudine di porre a seccare il pesce su bastoni dopo la salatura.
Secondo la testimonianza di Pietro Martire d’Anghiera (1516) (32), il vocabolo sarebbe invece proveniente da terminologia indigena americana e utilizzato dai Corte Real quando esplorarono le coste di Terranova che chiamarono Terra do Bacalhao.
Secondo uno studio di D. Carolina Michaélis de Vasconcelos de­riverebbe dal latino baccalaureus che avrebbe dato baccalarius e poi il francese bachelier da cui bacharel. Il termine, equivalente all’italiano baccelliere sarebbe passato ad indicare un pesce e ciò per una somiglianzà tra le falde svolazzanti della veste del baccelliere e le pinne scure del pesce. D’altro canto lo stesso pesce ha anche il nome di (a)badejo che è un diminutivo castigliano di abad = abate, sempre originato dallo stesso motivo (33).

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29. Cfr. M. Cortellazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1979-1988; J.P. Machado, Dicionário etimológico, Lisboa, Confluéncia, 1956. G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Firenze, Mondadori, 1979.
30. L’etimologia concordemente accettata indica questo termine come composto, in olandese antico, da stok «bastone» e visch «pesce». Cfr. Cortellazzo-Zolli, cit.
31. L’ipotesi, sostenuta dal Bluteau, viene considerata probabile dal Corominas. Cfr. D.R. Bluteau, Vocabulário Portuguez e Latino, Coimbra, Collegio das Artes da Companhia de Jesu, 1712 (tomo II); e P. Corominas, Diccionario círtico etimológico castellano e hispánico, Madrid, Gredos, 1980.
32. «Bacallaos Cabottus ipse terras illas appellavit: eo quod in earum pelago tantam repererit magnorum quorundam piscium, tynnos emulantium, sic vocatorum ab indigenis, multitudinem, ut etiam illi navigia interdum detarderent». Pietro Martire d’Anghiera, Decadi del Nuovo Mondo, 111 Dec.
33. L’ipotesi avanzata da D. Carolina Michaélis de Vasconcelos viene esaminata da Gonçalves Viana che, dopo aver ampiamente discusso la cosa, conclude aderendo alla sua tesi. Cfr. G. Viana, Apostilas aos Dicionários Portugueses. Allo studio del Viana e della Michaélis si rifà anche: A. Nascentes, Dicionário Etimológico da Língua Portuguesa, Rio de Janeiro, Ed. Jornal do Comércio, 1955. Qualche dizionario ha anche accettato la tesi riportandola senza discussione. Cfr. L. Freire, Novissimo Dicionário da Língua Portuguesa, Rio de Janeiro, J. Olympio ed., 1957.

6. Il bacalhau nei proverbi e nei modi di dire

Nonostante il grande rilievo che il baccalà ha avuto nel quotidiano per i portoghesi, ho dovuto constatare che esso non è presente nei proverbi (34). Esistono però molti modi di dire (35) che si rifanno a varie caratteristiche di questo alimento.
La fama di cibo sempre molto economico lo ha reso simbolo di livello sociale infimo: Para quem é bacalhau basta esortava a non preoccuparsi troppo per persone di scarso livello e tra questi erano certamente compresi i profughi galiziani che si adattavano ai compiti più umili. Il loro cibo era rappresentato da baccalà e fagioli, i due alimenti più poveri.
O bacalhau quer alho vuole indicare, con il riferimento culinario, l’ineluttabilità di alcune conseguenze o connubi.
Le caratteristiche del suo aspetto, una volta pronto per la commercializzazione, sono richiamate dalle espressioni: Magro come um bacalhau per indicare una persona sottile e alta, oppure Estender o bacalhau che equivale a stendere la mano per salutare mentre Cheirar a bacalhau assimila l’odore poco gradevole del pesce alla mancanza di igiene personale, Casaca de rabo de bacalhau è il nome popolare dato ad una casacca piuttosto lunga usata dagli uomini nel XVII secolo e Bacalhaus erano dei colletti bianchi piuttosto lunghi usati sempre nello stesso periodo.
Pesar bacalhau è ciò che si dice di una persona che, lottando contro il sonno, dondoli ripetutamente la testa.
Levar com un bacalhau no rabo ha il significato di venir escluso, con ingratitudine e ignominia, da qualche luogo.
Ficar ou dar em águas de bacalhau è non conseguire risultati, non ottenere effetti da un’azione condotta poco attivamente.
In Brasile invece bacalhau era un tipo di frusta, formata da quat­tro strisce di cuoio crudo ritorto e corner bacalhau equivaleva a prendere frustate (36). Nel gergo dell’Accademia Militare brasiliana viene chiamato bacalhau un tipo di fucile mitragliatore quando conservato nella sua custodia. Ancora di uso brasiliano e poco portoghese sono le espressioni meter o bacalhau em che ha il senso di parlare male o calunniare una persona, e bacalhau de porta de tenda che indica una persona molto magra.

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34. Molti dei dizionari consultati riportano anche i proverbi relativi alle voci, quando esistano. In particolare, è molto ricco in citazioni D. Raphael Bluteau ma in questo caso non riporta nulla. Cfr. anche: F. Ribeiro de Mello, Nova recolha de provérbios portugueses e outros lugares-comuns, Lisboa, Afrodite, 1986.
35. Cfr. F.D. Vieira, Grande Dicionário Portuguez ou Thesouro da Língua Portuguesa, Porto, ed. Chardron e Moraes, 1871; A. Morais E. Silva, Grande Dicionário da Língua Portuguesa, Lisboa 1950; Aa.Vv., Dicionário general luso-brasileiro da língua portuguesa, Lisboa-Rio, ed. Enciclopédia, s.d. e altri già citati.
36. Mi è sembrato interessante annotare questa accezione che si riscontra tuttora anche in alcuni dialetti meridionali italiani ove prendere il baccalà o dare il baccalà o anche il baccalà secco è sinonimo di ricevere o dare punizioni corporali, specie nel lessico infantile. Potrebbe, in questo caso, essere esito di baculum?

7. Il bacalhau nelle testimonianze letterarie

Naturalmente non possono mancare le testimonianze letterarie ed anche in questo caso a vari livelli e con diverse finalità. Il denominatore comune resta comunque la sua essenza di simbolo.
Oggetto di carmi laudatori, soggetto in satire politiche e sociali, elemento connotante, è entrato nella poesia, nella prosa e nel teatro.
Dalle cronache del Cinquecento sulle quali discettiamo per meglio definire il momento e il perché della sua prepotente comparsa nel lessico, nei mercati e sulle tavole dei portoghesi, alle poesie pervase di saudade a noi più vicine, il baccalà, anche nelle sue avventure letterarie ha risentito del fluttuare dei momenti storici (37).
Abbiamo visto come il suo successo è stato decretato dalla capacità di mantenersi a lungo commestibile. Veniva quindi usato negli approvvigionamenti dell’esercito di stanza principalmente ai confini.
Leggendo l’Arte de furtar (38), opera morale anonima la cui stesura risale al 1652, un momento in cui i confini dovevano essere ben controllati dai portoghesi memori della spiacevole esperienza del periodo di unione alla corona spagnola, al VII capitolo troviamo il racconto di un raggiro che mi sembra indicativo: Un mercante riceve una fornitura di baccalà quasi marcio che sa di non poter vendere ai piccoli commercianti, si rivolge ad un funzionario regio e riesce, con un opportuno sottomano, a vendere al Re il baccalà per il rifornimento dell’esercito. Concluso l’affare, il baccalà parte per Elvas e viene anche ulteriormente bagnato perché il peso aumenti. Giunge a destinazione tanto marcio da essere rifiutato anche dai cani. L’autore conclude con le sue considerazioni morali, che sono tratto caratterizzante dell’opera: «Quem fez este furto?» – si chiede – «… O mancebinho, que recolheo os dous mil cruzados, cuida que nada fez»; – ma in effetti «… furtou muito; porque deu ocasião a arderem vinte mil cruzados del Rey sem nenhum fruto. Na alma – conclude – lhe não quizera eu jazér a hora da morte».
Noi ricaviamo dall’episodio due dati, innanzi tutto il baccalà si conferma, in un discorso che riguarda gli approvvigionamenti militari, elemento di fondamentale importanza; oltre a ciò, ci interessa rilevare che il carico proveniva dal Nord Europa. All’epoca della stesura dell’opera il paese infatti era privo di una propria flotta ed era in una fase di riassestamento dopo i quarantanni di unione delle corone iberiche.
Ramalho Ortigão, nel Novembre 1871, nelle sue Farpas, annota l’imbarazzo che la situazione di vero e proprio monopolio creata dai commercianti di baccalà di Lisbona, crea per i pescatori e per i consumatori. Anche in questo caso la conclusione è principalmente morale, in nome di un alimento popolare, in assenza di una giustizia terrena, si paventa un possibile intervento divino!
Eça de Queirós si rivela invece un appassionato dell’alimento nazionale sia nel privato sia nella propria opera. A lettere in cui definisce il baccalà vero e proprio fior di loto, si affiancano le sue descrizioni d’ambiente in cui il baccalà ha la funzione di opportuno contrappunto (39).
La modifica che si ebbe nel precetto religioso che limitava il consumo della carne imponendo automaticamente il pesce fu all’origine della realizzazione di alcuni divertenti folhetins che circolarono in Portogallo nel 1824 e che rappresentano due diversi modi di presentare la reazione che si ebbe alla norma secondo la quale il precetto dell’astinenza dalle carni veniva ripristinato. In uno, O bacalhau triunfante (40), veniva presentata una grande festa realizzata nel Regno di Nettuno alla notizia, nell’altro, O bacalhau justifìcado (41), si svolge un gustoso dialogo con la signora D. Carne che è giustamente risentita per il ruolo secondario che le tocca riprendere nell’alimentazione dei portoghesi osservanti. I due testi sono interessanti e mi sembra si possa ipotizzare una più vasta produzione di questo tipo oltre ad una presenza puntuale del bacalhau fra i personaggi del teatro satirico. Mi conferma questa ipotesi l’aver trovato anche un monologo dal titolo O bacalhau (42) che viene dichiarato parodia di O Merlo di Guerra Junqueiro e viene stampato nel 1942. Probabilmente biblioteche teatrali potrebbero fornire materiale prezioso in uno studio del baccalà quale soggetto/oggetto di satira.

Concludo con alcuni versi di un poeta che ha vissuto, fin da piccolo, l’esperienza di chi resta, di chi la vita del pescatore la subisce. In essi il ricordo della difficile epopea portoghese del bacalhau fornisce lo spunto per manifestare quel messianismo che ancora permea tante manifestazioni letterarie portoghesi (43).

Mas não é só na Terra Nova
Que o nevoeiro cai
e anda rentinho ao mar.
Neste país de luz e sol,
o nevoeiro anda cá dentro
e não nos deixa olhar…

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37. L’argomento meriterebbe una ricerca specifica più approfondita di quanto questa sede permetta. Mi limiterò a toccare solo pochi momenti significativi.
38. Di quest’opera sono state realizzate numerose edizioni, nel tempo. La più facilmente reperibile in commercio oggi è di Lisbona, Editorial Estampa, 1987.
39. Cfr. J. Quitério, Eça e o bacalhau, «Ler», inverno 1990, pp. 83-84 in cui, tra gli indizi che evidenziano in Eça un buon gastronomo, vengono proprio esaminati i riferimenti al baccalà.
40. O Bacalhau Triunfante – Relação divertída, e curiosa: offerecida a todo o apreciador de boa posta do mesmo bacalhau: por um apaixonado deste petisco, Porto, Imprensa na Rua Santo António n. 24, 1824.
41. O bacalhau justificado, ou conversaçào do futre Bacalhau com Dona Carne, Porto, Imprensa na Rua de Santo António, n. 24, 1824.
42. J. Gaspar, J. Mendes Rodrigues, O bacalhau (monólogo), Lisboa, ediçàodos autores, 1942.
43. Questi versi sono citati da A. Couto Viana, op. cit., p. 18. L’autore, Álvaro Feijó, è scomparso a 24 anni, nel 1941. Le sue poesie sono state raccolte in: Á. Feijó, Os poemas, Portugàlia, 1961.

Estratto da:

CODICI
DEL GUSTO
a cura di
MARIA GRAZIA PROFETI

Università di Verona
Scienza della letteratura e del linguaggio
FRANCOANGELI editore, Milano, 1992, pp. 129 – 143

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